E’ proprio il caso di dire uffa. Uffa alle bizzarrie del meteo che prima ci ha sciolto per il caldo ed ora sta cercando di detergerci con frequenti annaffiate. Era nell’aria un week
end all’insegna della forte variabilità atmosferica e così è stato, ma i montanari prima di darsi per vinti e rinunciare definitivamente cercano nelle previsioni ogni possibile
affrancamento e alla fine tutto si è fatto tranne che rinunciare all’escursione; la perturbazione doveva abbandonare il centro ma lo avrebbe fatto gradualmente, da Ovest verso Est e
nella tarda mattinata di Domenica. Ogni possibilità di escursione andava quindi progettata il più possibile verso il versante Ovest degli Appennini per cercare di andare in contro al
bel tempo e andava presa anche con molto comodo. Carta alla mano, muovendoci da Ascoli Piceno, era l’occasione propizia per andare a curiosare e conoscere una catena minore degli Appennini,
i monti Carseolani, una piccola dorsale posta a Sud del Terminillo, in provincia di Rieti, a cavallo tra i laghi del Salto e del Turano. In particolare tra questi due laghi si eleva il
monte Navegna, che con i suoi 1508 mt rappesenta la vetta più alta del comprensorio; con il monte Cervia forma una riserva naturale istituita nel 1988. E’ questa montagna, questa zona che
oggi andremo a conoscere.
L’escursione inizia da Ascrea. Ascrea è un paese arroccato sulle pendici dei Carseolani poco sopra quota 700 da dove si gode una vista meravigliosa sul lago del Turano e sui paesi di
Castel e Col di Tora; si raggiunge dall’autostrada A24 uscita Carsoli oppure dalla Salaria, da Ornaro percorrendo la SP34; vi sarà facile scegliere l’avvicinamento migliore.
Ci sono diversi sentieri per salire al Navegna, quello che abbiamo scelto noi ha inizio proprio all’interno del Paese; non si entra nel centro, una volta arrivati al suo limite si prende
quella che potremmo chiamare la tangenziale del paese, all’incrocio dove andando diritti si salirebbe alla piazzetta del centro, si prende a sinistra, si segue l’indicazione per la caserma
dei carabinieri, se si trova posto si può già parcheggiare l’auto, l’inizio del sentiero è posto circa duecento metri sopra il rettilineo in salita, proprio al centro del primo tornante
sulla destra. Un cancello di una abitazione, un palco in legno con la carta del parco ed una bandierina bianco-rossa del CAI non possono sfuggire, proprio sul tornante, da lì è facile
vedere la traccia di sentiero che sale tra gli arbusti della vegetazione. Prima ripido, e per strette svolte scorre a fianco del recinto dell’abitazione, poi spiana ed in leggera salita
inizia a traversare il fianco della montagna mentre tra la vegetazione si aprono sporadiche finestre con viste mozzafiato sul lago del Turano. Questo tratto di sentiero continua facile per
poco meno di un paio di chilometri, poco il dislivello e continui gli affacci sul lago, una passeggiata in pratica, fino ad un primo incrocio, dove la vegetazione si è da poco infoltita,
dove una palina indica la direzione per il Navegna e fonte le Forche. Da qui, virando verso Nord-Ovest ci si inoltra per il fosso Valloppio, un lungo canalone invaso da vegetazione fittissima;
tra roverelle, ciclamini, menta e ginepri, quando passiamo profumi di erbe aromatiche ci avvolgono; il sentiero si affianca al fosso vero e proprio, sul suo lato destro, nel primo tratto
accentuato e profondo. Le piogge dei giorni scorsi e la vegetazione fitta rendono l’ambiente particolarmente umido, folate di vento ci scaricano addosso le gocce che sui rami carichi di foglie
ancora non sono evaporate. Ora ripido ora meno, sempre scivoloso, il sentiero si inerpica anche con qualche tornante che fa prendere quota; la vegetazione fitta non da scampo e poco ci è dato
intuire di ciò che abbiamo intorno, nei pochi tratti in cui dirada le pendici boschive più in alto ci appaiono immerse nelle nuvole. Non è un buon viatico per la cima, temiamo davvero di
arrivarci e di non godere dei famosi panorami di questa bassa montagna. Quando gli aceri iniziano a prendere il posto delle roverelle siamo quasi giunti alla sella dove fonte le Forche butta
copiosa e fresca; l’ultimo tratto prima della sella è quello più ripido, nei pressi della fonte si allargano ampie radure ed è come riemergere dalla notte.
Nei pressi della fonte, c’è un vero incrocio di sentieri; la traccia continua verso la sella e scende sull’altro versante, accanto ad una zona pic-nic che abbiamo sopra sulla destra, continua
anche tagliando il versante che abbiamo sempre sulla destra ritornando ad Ascrea per altro percorso (da lì stava arrivando un folto gruppo di bikers quando siamo giunti alla fonte) e continua
sulla sinistra, passando sotto i due stazzi che si vedono dalla fonte, proseguendo per il monte Navegna.
Una palina con dei cartelli indica il tracciato che dopo la fonte si fa sassoso più che roccioso, e che per fortuna si inoltra quasi in piano, ormai in testa al fosso Valloppio, sul fianco della
montagna; molte recensioni descrivono segnali giallo-rossi lungo il sentiero, sono ormai quasi inesistenti, sono stati sostituiti da quelli del CAI bianco-rossi.
Si continua dentro e fuori un rado bosco di roverelle, l’ambiente sassoso è l’ideale per un grosso gregge di capre che incrociamo più in alto. Sempre facile, in alcuni tratti ormai quasi sepolto
dalle ginestre che hanno goduto della calda estate che sta per finire, il sentiero si inoltra senza grossi strappi fino a sbucare sulla tonda e spoglia sagoma di colle Mogaro, dove improvvisamente
si torna a godere di una vista incredibile sul lago del Turano. Ci arriviamo che le nuvole sono basse e grigie ma ancora sopra di noi; il lago splende di una luce bellissima che più giù riesce
evidentemente a filtrare. Azzurri e verdi si confondono in mille tonalità sulle acque del lago, le nuvole e la vegetazione, le acque più o meno profonde, il sole che in alcune zone colpisce
direttamente il lago e in altre no, tutto contribuisce ad arricchire la tavolozza di colori che ci si para davanti. “Un lago artificiale è vero, frutto dell’euforia idroelettrica dei
decenni ’30 e ’40 del secolo scorso, ma più ricco e più ‘naturale’ di tanti laghi naturali sparsi nel territorio italiano; penisole, insenature, centri abitati abbarbicati alle rocce che lo
circondano, insomma come si suol dire un pezzo di Svizzera” (nota tratta dal volume N°1 dell’Altro Sentiero, Ed. SER).
Su colle Mogaro le tracce del sentiero tendono a perdersi, ci sono ma le si perde perché sfido chiunque a non portarsi sul ciglio della rotondità per godere del panorama. Se come tutti si va
avanti per godere della vista unica che si ha sul lago, quello che c’è da fare per riprendere il sentiero è salire verso Est dalla parte opposta del lago stesso fino ad intercettare il sentiero
oppure ritornare di poco sui propri passi fino all’ometto subito dopo gli ultimi arbusti da cui si è usciti; la traccia è visibile a terra e tramite gli ometti sparuti che deviano verso la
sommità della gobba, verso Nord-Est. Raggiunta la sommità di colle Mogaro una palina detta il percorso che rientra all’interno di una piccola querceta; da qui in avanti, alla nostra sinistra,
scorrerà una recinsione reticolata alta e ben tenuta che purtroppo ci accompagnerà fino in vetta. Dalla querceta il sentiero prima si abbassa su una poco profonda sella e sempre scorrendo ai
lati del recinto si alza repentinamente verso la cima del Navegna; i primi tratti sono rocciosi e decisamente ripidi, qualche tornante repentino fa salire di quota, poi lentamente, nei pressi
della palina che indica Costa delle Cipolle, intorno ai 1400 mt, si adagia sulle rotondità dei pascoli che ci accompagneranno fino alla vetta. Nei pressi della palina che indica Costa delle
Cipolle, poco sopra, scorre il recinto; quando siamo passati noi alcuni tratti verso Est rispetto alla palina erano stati divelti, passare è stato facile, altrimenti occorre scivolare lungo il
recinto fino a trovare il cancello per proseguire. Purtroppo non posso raccontare dei panorami che da qui si inizierebbe a godere, le nuvole verso Est incombevano basse è ciò che potevamo vedere
erano solo i fitti manti boschivi che iniziavano ad ammantarsi di autunno. Sopra la linea della montagna che delimitava l’orizzonte spuntava un faggio isolato dai colori autunnali e dalla chioma
imponente. La dorsale continua salendo verso Ovest formando un semicerchio , in mezzo una poco profonda conca che andrebbe scesa e risalita, ovviamente l’abbiamo evitata e abbiamo continuato
sulla dorsale rompendo le scatole a dei cavalli e ad un mulo che se ne stavano tranquilli al pascolo. Le nuvole si infittiscono, a tratti si diradano e a tratti ci scorrono addosso bagnate, la
cupola del Navegna sembra ancora scoperta e mentre saliamo si riesce a percepire, siamo ancora lontani, anche la piccola croce. Arriviamo in cima in pochi minuti, troviamo cinque escursionisti
al riparo dal vento sotto le rocce di vetta; facciamo appena in tempo a percepire le lunghe distese erbose della cresta alternate a piccoli boschi che si guadagnano le quote sommitali salendo dai
fossi del versante Est e a farci qualche foto, che rimaniamo soli nel nulla. Le nuvole corrono lente e ci investono, ad Ovest ci è precluso tutto completamente, ad Est la lunga lingua del lago
del Salto riluce sotto banchi di nuvole grigie prima di scomparire del tutto. Peccato, i panorami che si godono da questa cima sono famosi ma ci vengono negati; non ci rimane che scendere un po’
verso Est, sotto le rocce di vetta e ripararci dal vento ora decisamente fastidioso ed umido. Ci mangiamo qualcosa tanto per fermare lo stomaco e ci mettiamo in attesa di una qualche schiarita che
apra gli orizzonti; non c’è ne è affatto sentore, quello che otteniamo è solo di raffreddarci velocemente. Forse valeva la pena calare a valle, in paese o intorno al Lago qualche trattoria di
certo aveva in serbo due posti per noi. Spinti ormai dall’idea di rincuorarci a tavola e dall’esigenza di muoverci per riguadagnare temperatura ci rimettiamo sulla via del ritorno, anticipando
addirittura gli escursionisti che avevamo trovato già in vetta. Uscendo allo scoperto la visibilità si era ridotta notevolmente, era la prima nebbia vera della nuova stagione e come sempre la
prima sensazione di scocciatura si è trasformata rapidamente in introspettivo silenzio per rivivere di nuovo quell’ambiente familiare così solitario.
E’ stato facile uscire da quel niente, la direzione era chiara, verso Sud a girare sulla dorsale sopra la conca che si formava sotto la vetta, a ritroso rispetto all’andata; le sagome dei cavalli
al pascolo, poco più lontani rispetto a prima, aiutavano a trovare la direzione, poi è comparso il grosso solitario faggio e quindi la discesa verso il recinto; la nebbia, via via che ci abbassavamo
di quota si diradava. Scendendo si ha il lago di fronte fino al colle Mogaro, una linea grigia molto netta separa il basso cielo dalla luminosità e dal luccichio dello specchio d’acqua; il paesaggio
era surreale e bellissimo. Scendiamo per la stessa via dell’andata, la temperatura aumenta velocemente, già alla fonte siamo di nuovo in maniche corte. Sulla sella è parcheggiata una macchina,
l’area pic-nic è vicina alla fonte ed evidentemente è stata attrezzata per essere facilmente raggiunta; ma non siamo all’interno di un’area protetta? Lascio a chi legge tutte le riflessioni sul caso.
Il fosso di Valloppio, quella lunga selvaggia boscaglia, detto tra noi, è stato un po’ noioso a salire e a scendere non passa mai, anche il lungo traverso fino al paese sembra essere più lungo
dell’andata, la luce attenuata rende anche il lago meno colorato e meno attraente. Insomma era ora di sedersi ad un tavolo e non siamo dovuti andare molto lontano per farlo; nella piazzetta di
Ascrea, il Belvedere di nome e di fatto per come domina il lago con la sua posizione, ci ha proposto una meravigliosa polenta con le spuntature che anche se un po’ fuori stagione è stata un delirio
di sapori. Siamo stati all’aria aperta, abbiamo conosciuto un altro spicchio di territorio e soprattutto si è aperto l’affascinante capitolo delle così dette montagne minori. Torniamo a casa
soddisfatti perché come sempre la montagna è in grado di regalarti qualcosa da aggiungere alle proprie esperienze di vita.
Speriamo però a questo punto che a nessuno venga in mente di fondare un Club1500m, altrimenti siamo fregati e ci ritocca di nuovo prendere la rincorsa!!!
Documentazione di riferimento per questa escursione: L’altro sentiero Vol.1 , Ed S.E.R. ,il percorso viene ben descritto con note esplicative, foto ed una bella relazione; Carta dei monti Lucretili,
Monti Navegna e Cervia, 1:25000, Ed.Il Lupo.